Il castello di carta delle neuroscienze: perché 20 anni di scansioni cerebrali potrebbero essere un miraggio

Scansione fMRI

Psichiatria: Cronaca di un castello di carta che si sbriciola

C’è stato un tempo, non troppo lontano, in cui la psichiatria sembrava aver finalmente trovato il suo "Santo Graal": un camice bianco, un’immagine colorata del cervello e una spiegazione chimica pronta all'uso per ogni malessere dell'anima. Ma negli ultimi anni, quel castello di certezze costruito a colpi di marketing e statistiche compiacenti sta venendo giù pezzo dopo pezzo, come una scenografia di cartapesta sotto un acquazzone estivo.

Prima è arrivata Joanna Moncrieff dall'University College di Londra. (1) Con la grazia di un demolitore, ha preso il dogma dello "squilibrio chimico" — l'idea che la depressione sia solo una carenza di serotonina da colmare come un serbatoio d'olio — e lo ha ridotto in cenere. Il risultato? Una revisione sistematica che conferma quello che molti sospettavano: il legame tra serotonina e depressione è una favola commerciale, e gli antidepressivi SSRI, in troppi casi, non fanno meglio di una pillola di zucchero.

Poi è stata la volta del Karolinska Institutet (2). Con la freddezza dei numeri, i ricercatori svedesi hanno smontato lo slogan "il TSO lo facciamo per il suo bene". Mentre per decenni la coercizione è stata spacciata come l'ultima barriera contro il suicidio, i dati hanno mostrato una realtà brutale: la privazione della libertà e il trauma del ricovero forzato non solo non salvano vite, ma spesso diventano essi stessi il catalizzatore che spinge il paziente verso l'atto estremo.

Ma proprio quando gli uffici stampa delle società di psichiatria pensavano di aver toccato il fondo, ecco che arriva l’ennesima, pesantissima tegola dal mondo dell’imaging cerebrale. Se non possiamo più contare sulla "chimica della felicità" e se la nostra "sicurezza" è controproducente, potevamo almeno aggrapparci alle immagini: quelle bellissime scansioni cerebrali che "provano" la malattia mentale. E invece no. Una nuova ricerca della Technical University of Munich (TUM) è arrivata a spegnere le luci proprio dentro quelle macchine della risonanza magnetica, rivelando che ciò che abbiamo guardato per vent'anni non era la mente al lavoro, ma poco più di un miraggio.

Immagini colorate

Per oltre due decenni, ci è stata raccontata una storia affascinante: la psichiatria era finalmente diventata una "vera scienza" grazie alla risonanza magnetica funzionale (fMRI). Quelle immagini colorate del cervello, con macchie luminose che si accendono in risposta a emozioni o pensieri, sono state spacciate come prova tangibile della causa cerebrale dei cosiddetti disturbi mentali, come depressione, schizofrenia e disturbi dell’umore.

Secondo uno studio del 2016 e un altro, recentissimo, questa narrativa fa acqua da più di una parte.

Difetti negli algoritmi statistici

Nel 2016, un team di ricercatori guidato da Anders Eklund ha pubblicato uno studio che ha agito come una bomba atomica nel campo della ricerca psichiatrica. Analizzando i software più comuni utilizzati per interpretare i dati della fMRI, i ricercatori hanno scoperto un difetto fondamentale negli algoritmi statistici. Il problema è tecnico ma le conseguenze sono semplicissime: questi programmi sono troppo "ottimisti". Tendono a vedere schemi dove c’è solo rumore casuale, generando una quantità enorme di "falsi positivi". Secondo i ricercatori, decine di migliaia di studi pubblicati negli anni precedenti al 2016, ma tuttora utilizzati come per diffondere l’idea che la psichiatria sia una branca della medicina come tutte le altre, potrebbero basarsi su dati statistici errati. In pratica, migliaia di studi su come il cervello di un depresso differisce da quello di una persona sana potrebbero essere, semplicemente, sbagliati.

Il salmone atlantico che "pensava"

Per capire quanto la fMRI possa essere ingannevole, basta ricordare il celebre esperimento del "salmone morto" (3). Nel 2009, per dimostrare la fallacia della statistica applicata alle neuroimmagini, un gruppo di ricercatori mise un salmone atlantico surgelato dentro una macchina per la risonanza. Mentre proiettavano foto di esseri umani al pesce morto, i computer registrarono la sua "attività cerebrale" interpretando il rumore di fondo come un segnale biologico. Se un computer può vedere "emozioni" in un salmone morto, quante volte ha visto "segni di schizofrenia" nel cervello di un paziente?

La psichiatria alla ricerca di una prova che non c’è

Il dramma di questa scoperta colpisce soprattutto la psichiatria. A differenza della neurologia, che si occupa di lesioni fisiche visibili (come un tumore o un ictus), la psichiatria ha cercato per anni nella fMRI la "prova biologica" dei disturbi mentali. Si è tentato di trasformare sofferenze complesse, legate alla vita e all'ambiente, in semplici anomalie del "cablaggio" cerebrale. La ricerca di Eklund ha dimostrato che la correlazione tra una macchia colorata su uno schermo e uno stato mentale è estremamente fragile. Non esiste oggi un solo test fMRI che possa diagnosticare con certezza una malattia psichiatrica su un singolo individuo. Quello che abbiamo sono medie statistiche tra gruppi di persone, spesso basate su campioni piccoli e statisticamente poco significativi e, per quanto riguarda gli studi antecedenti il 2016, spesso analizzate con software difettosi. L'idea che un software possa mappare l'anima umana o identificare "il gene della tristezza" attraverso un'immagine digitale si è scontrata con la dura realtà dei numeri. 

Mentre la psichiatria continua a presentare queste scansioni come prove inoppugnabili della sua scientificità, la scienza stessa ci avverte: quelle luci nel buio del cranio potrebbero dirci molto di più sui limiti dei nostri computer che sui segreti della nostra mente. È tempo di tornare a guardare le persone nel loro insieme, invece di affidarsi a un algoritmo che non sa distinguere un uomo da un salmone surgelato.

Da allora, sono stati pubblicati diversi studi in cui gli autori sostengono di aver corretto questo problema, ma una nuova frana – forse definitiva – si è abbattuta su quello che appare sempre più come un castello di carta.

Perché il 40% delle "scansioni psichiatriche" potrebbe dire l'esatto opposto della realtà

Una ricerca rivoluzionaria (4) condotta dalla Technical University of Munich (TUM) ha appena smontato il pilastro su cui poggiavano questi studi: il segnale fMRI non corrisponde quasi mai all'effettiva attività dei neuroni.

Il dogma crollato: più sangue non significa più attività

L'intera "scienza" delle neuroimmagini si basa su un presupposto che davamo per scontato: se una parte del cervello lavora di più, ha bisogno di più ossigeno, quindi il flusso sanguigno aumenta. La macchina (fMRI) rileva questo afflusso di sangue (chiamato segnale BOLD) e noi interpretiamo quella "macchia colorata" come un segno di aumentata attività neuronale.

Lo studio della TUM, guidato dalla dottoressa Samira Epp e dal professor Valentin Riedl, ha scoperto che nel 40% dei casi questo presupposto è falso. I ricercatori hanno utilizzato una tecnica innovativa per misurare l'effettivo consumo di ossigeno e hanno scoperto realtà paradossali:

  1. In molte aree, il segnale fMRI aumentava mentre l'attività cerebrale reale diminuiva.
  2. In altre zone, i neuroni lavoravano freneticamente, ma il segnale fMRI scendeva.

Si è scoperto infatti che molte regioni cerebrali soddisfano l'aumento della domanda energetica non incrementando il flusso sanguigno come previsto, ma estraendo l'ossigeno in modo più efficiente dalla loro attuale disponibilità di sangue.

È un po’ come se avessimo valutato le prestazioni di un’automobile in base al consumo di benzina per poi accorgerci che, invece, l’aumento di prestazioni non era legato a un maggio consumo di benzina ma a un modo più efficiente di usarla.

"Questo contraddice l'assunto di lunga data su cui si basano decine di migliaia di studi in tutto il mondo", ha spiegato la dottoressa Epp. Per la psichiatria, che ha usato queste mappe per "dimostrare" che i disturbi mentali sono squilibri biologici visibili, si tratta di un disastro epocale. Se il segnale può significare l'esatto opposto di ciò che pensavamo, allora migliaia di conclusioni “scientifiche” sulla depressione o sulla schizofrenia potrebbero dover essere ribaltate.

Il rischio per i pazienti: diagnosi basate su "errori vascolari"

Il problema diventa ancora più grave quando si parla di pazienti reali. Molti cosiddetti disturbi mentali colpiscono persone che hanno anche cambiamenti nei vasi sanguigni (dovuti all'età, allo stile di vita o agli stessi farmaci psicotropi). In questi casi, ciò che lo psichiatra vede nella risonanza potrebbe non essere affatto un’attività neuronica ma, semplicemente, una differenza nel modo in cui il sangue scorre nelle vene.

La fine di un'epoca?

Per due decenni, le scansioni fMRI sono state usate come un feticcio per dare una parvenza di "fisicità" a disturbi che, allo stato di conoscenza attuale, restano complessi e immateriali. Lo studio della TUM suggerisce che abbiamo guardato il dito (il flusso sanguigno) mentre i neuroni indicavano la luna (l'energia reale).

Mentre la psichiatria cerca ancora la sua "prova regina" sotto forma di immagine digitale, la ricerca più avanzata ci dice che quella prova, per ora, è un miraggio tecnologico. Chi tentava di rappresentare la sofferenza umano con dei grafici colorati deve ora fare un passo indietro.

Dalle macerie del laboratorio alla dignità della persona: il nuovo orizzonte OMS/ONU

Il marketing psichiatrico presentava ai pazienti un pacchetto completo: "Sei depresso perché hai poca serotonina (chimica) e perché il tuo lobo frontale è spento (imaging)". Ora che la ricerca della Moncrieff ha polverizzato il mito della chimica e lo studio della TUM ha rivelato che quelle scansioni sono spesso solo "illusioni idrauliche", l'intero modello bio-medico si ritrova nudo. Non è più solo una crisi di dati, è il fallimento di un approccio che ha ridotto l'essere umano a una macchina difettosa da riparare o da rinchiudere.

Davanti a queste macerie, l'auspicio è che la psichiatria abbia il coraggio di abbandonare definitivamente il dogma della chimica, la dipendenza da una neurologia mal interpretata e l’uso brutale della coercizione. Il momento è propizio per abbracciare la svolta epocale indicata dalle nuove linee guida congiunte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dell’ONU (5): un paradigma che chiede un ribaltamento totale:

  • Dalla pillola al contesto: Smettere di cercare la causa del dolore solo nei neurotrasmettitori e iniziare a guardare alle determinanti sociali (povertà, traumi, isolamento, discriminazione).
  • Dalla coercizione al consenso: Abolire le pratiche forzate (come il TSO, che il Karolinska ha dimostrato essere controproducente) per sostituirle con servizi basati sulla comunità e sul supporto tra pari.
  • Dalla diagnosi ai diritti: Non più etichette basate su fMRI inaffidabili, ma il riconoscimento della persona come soggetto di diritti inalienabili, capace di autodeterminazione anche nel momento della crisi.

Il documento OMS-ONU è chiaro: la salute mentale non è un problema di "cervelli rotti", ma di vite interrotte e diritti negati. Se la scienza "dura" ha fallito nel mappare l'anima con i magneti, la strada maestra oggi è quella dell'ascolto, dell'inclusione e del rispetto della dignità umana. È tempo di spegnere gli scanner e riaccendere l'umanità.

Riferimenti:

  1. https://www.psychologytoday.com/us/blog/side-effects/202207/decisive-blow-the-serotonin-hypothesis-depression
  2. https://www.thelancet.com/journals/lanepe/article/PIIS2666-7762(25)00296-0/fulltext
  3. www.prefrontal.org/files/posters/Bennett-Salmon-2009.pdf
  4. https://www.tum.de/en/news-and-events/all-news/press-releases/details/40-percent-of-mri-signals-do-not-correspond-to-actual-brain-activity
  5. https://www.ccdu.org/linee-guida-onu-oms-salute-mentale 

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